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giovedì 15 ottobre 2020

Dare la mano usanza nella storia. da :ANTICAE VIAE

 

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«Quela de da’ la mano a chissesia
nun è certo un’usanza troppo bella
te pô succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.
Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quanno ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia,
che t’entra in bocca e va ne le budella».
nvece, a salutà romanamente,
ce se guadagna un tanto co l’iggiene,
eppoi nun c’è pericolo de gnente

Forse mai come negli ultimi mesi la poesia di #Trilussa intitolata La stretta de mano, che pare scritta in tempi di Covid-19 e mascherine, è stata tanto citata.
Soprattutto per quella contrapposizione finale che titilla qualche rimpianto per il Capoccione tra le destre nostalgiche. Ignare non solo dell’estraneità al regime di Carlo Alberto Salustri, nominato poi senatore a vita da Luigi Einaudi, ma anche di una ricchissima storia del saluto più diffuso nel mondo occidentale. Che va molto al di là delle liquidatorie Disposizioni del Pnf come quella firmata da Mussolini il 5 agosto 1938: «Anche le strette di mano sono finite presso di noi: il saluto romano e più igienico, più estetico, più breve».
Lo spiega il linguista Massimo Arcangeli, già autore di saggi come Cercasi Dante disperatamente. L’italiano alla deriva o Senza parole. Piccolo dizionario per salvare la nostra lingua, che ha ricostruito passo passo, in questa era di divieti, L’avventurosa storia della stretta di mano. Dalla Mesopotamia al Covid-19, in uscita per Castelvecchi. Un saggio delizioso che parte dal saluto fra il re assiro Shalmaneser III e il re babilonese Marduk-zâkir-šumi I nell’850 avanti Cristo e scende giù giù per i secoli fino all’irresistibile sfida tra Donald Trump (1,91 metri d’altezza, 110 chili di peso) e Emmanuel Macron, che pur essendo assai più basso e leggero, non l’ha mai data vinta al pantagruelico «amico»: «Il 14 luglio 2017, con la parata militare lungo gli Champs Elysées sullo sfondo, i presidenti si stringono la mano per 29 secondi — a un certo punto pare mimino un braccio di ferro —, e per un attimo Macron sembra stia per perdere l’equilibrio. L’anno dopo Macron si vendica al G7 canadese lasciando sulla mano di Trump, che molla la presa per primo, il segno bianco del suo pollice».
C’è modo e modo, infatti, di stringere la mano. C’è il «saluto gladiatorio» dell’antica Roma, dove «si è ipotizzato che due persone, al momento d’incontrarsi, arrivassero ad afferrarsi al di sopra del polso, per l’avambraccio, per ragioni di sicurezza: ognuno si accertava, in questo modo, che l’altro non nascondesse nella manica un pugnale o un’altra arma bianca». C’è la stretta salda e serena tra Antioco ed Eracle (al British Museum) o tra Era e Atena, al Museo dell’Acropoli ad Atene. C’è l’effetto «pesce morto» (mano flaccida, fredda, sudaticcia…) che «comunicherebbe l’ansia, l’insicurezza, l’irresolutezza». Quella col palmo all’insù («stretta del mendicante») che mostrerebbe una inclinazione all’obbedienza. Quella «a pinza» dove «l’autore del gesto, anziché afferrare tutta la mano, ne stringe le sole dita»...
E poi ancora il tenero addio della madre alla figlia morta «tenendole il polso con la destra e sorreggendole dolcemente con la sinistra il mento» nella Stele tombale di Eukoline in un bassorilievo attico. E le tante strette di mano tra lui e lei uniti in matrimonio, come nel mosaico romano degli sponsalia fra il dio Attis e la figlia di Mida, re di Pessinunte, nella Villa de las Musas in Navarra. O quelle con lui e lei uniti nella morte come nelle figure del sarcofago di Flavio Giulio Catervio e Settimia Severina a Tolentino...
Un affresco ricchissimo di storie, aneddoti, poesie, richiami letterari. Il giuramento di Pontida cantato dal poeta Giovanni Berchet: «L’han giurato. Li ho visti in Pontida/ convenuti dal monte, dal piano./ L’han giurato; e si strinser la mano/ cittadini di venti città». Un passo di Come vi piace di William Shakespeare: «Ho saputo di sette giudici cui non era riuscito di comporre una lite, ma quando le parti si trovarono faccia a faccia a uno venne come l’idea di dire un “se”, o “se voi dite così, dico allora così anch’io”, e si strinsero la mano giurandosi affetto fraterno». L’incontro narrato nel 1872 dallo storico Pietro Coselli fra Cavour e Mazzini che si era presentato parlando in inglese per poi passare all’italiano: «Cavour gli disse: “Ma per un Inglese, voi parlate l’italiano a maraviglia”. “È perché sono italiano come voi. Sono stato condannato due volte a morte, e si dice che manco di coraggio. Mi chiamo Mazzini”. Questi uomini si strinsero la mano, ed allora Mazzini non fece più ostacolo all’impresa di Vittorio Emanuele e del suo ministro».
Su tutto, però, svetta il ruolo dei quaccheri che «decisero di cominciare a salutarsi con una stretta di mano, poco dopo la metà del XVII secolo, proprio per un’urgenza di parificazione, sancendo, con l’adozione di quel gesto amichevole, il diritto di opporsi, in nome del rifiuto di gradazioni e diseguaglianze sociali, a inchini, riverenze e salamelecchi vari. (...) Niente sir o madam, Lord o mister, master o Your Grace: solo friend. Fra ’700 e ’800, anche grazie all’egalitarismo quacchero e alla sua vocazione all’informalità dei rapporti e alla confidenzialità dei toni, la stretta di mano come forma di saluto, pur continuando a codificare precedenti valori (lealtà, amicizia, magnanimità, ecc.), avrebbe finito per imporsi». Stringere la mano, spiegò lo scrittore inglese Henry Siddons, è «un gesto ricco di significati, perché la mano è la lingua delle buone e cordiali intenzioni. (...) La mano è lo strumento generale della mente».
Anche per questo, forse, la cultura occidentale e più ancora europea riconosce varie forme di saluto diverse da paese a paese, dal «namasté» asiatico («si uniscono i palmi delle mani, rivolti verso l’alto in forma di preghiera e si piega leggermente la testa») al «gong shou» cinese (il pugno di una mano nel palmo dell’altra, con l’inchino) fino al tocco di gomito, peraltro sdoganato da Mel Brooks in Frankenstein Junior ma non il rifiuto della stretta di mano. Come quello opposto da tanti immigrati islamici all’idea di toccare una donna, fosse pure una ministra o la sindaca che celebra il matrimonio. Un rifiuto che varie sentenze, spiega Arcangeli, hanno deciso sempre più spesso (vale pure per le donne che rifiutano la mano d’un pubblico ufficiale maschio, ovvio) di sanzionare. Valga per tutte la sentenza di un tribunale svizzero contro i genitori di due studenti che rifiutavano di stringere la mano alle docenti. L’integrazione e l’uguaglianza di genere, spiegarono i giudici, sono più importanti della libertà di culto.



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