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domenica 13 dicembre 2020

La prima guerra macedonica (Leggende Romane)

La prima guerra macedonica

La seconda guerra punica fu la prima grande guerra mondiale del Mediterraneo, che coinvolse moltissimi stati. Non solo romani e cartaginesi entrarono in guerra, ma anche numidi, iberici, galli, liguri, illiri e perfino greci e macedoni. I romani si erano espansi in Illiria alla fine del III secolo a.C.; fu allora che entrarono in contatto anche con i vicini macedoni, che decisero di allearsi con Annibale. I quiriti dal canto loro si allearono con la lega etolica; lo scontro, avvenuto tra il 214 e il 212 a.C. vide infine i romani riconoscere il predominio nella zona ai macedoni con la pace di Fenice del 205 a.C. Fu così che quando i romani vinsero la guerra contro Cartagine approfittarono del primo pretesto per reclamare vendetta. Infatti Filippo V re di Macedonia e Antioco III re dei seleucidi decisero di sfruttare la debolezza del giovane sovrano tolemaico Tolomeo V Epifane per sottrarre parte dei suoi territori (che comprendevano anche parte dell’Asia minore meridionale). Filippo attaccò Pergamo Rodi, che chiesero aiuto ai romani. A quest’ultimi non sembrava vero poter intervenire e ottenuto l’appoggio di Atene, inviarono un ultimatum a Filippo, che se ne infischiò, asserendo che non stava violando la pace di Fenice. I romani inviarono dunque una spedizione in Illiria e iniziò la seconda guerra macedonica, che vide molti greci schierarsi dalla parte dei romani dopo le efferatezze della prima e le recenti espansioni.

La seconda guerra macedonica

In seguito ad alcune schermaglie e un tentativo di pace dopo che Filippo era stato costretto a ritirarsi in Tessaglia, le due parti giunsero allo scontro diretto, quando Flaminino, a fine 198, seppe che il comando gli era stato prorogato, dietro pressioni del comandante romano, che mirava ad accrescere il suo prestigio. La battaglia di Cinocefale, nel 197 a.C., segnò la prima grande vittoria romana contro i macedoni e portò i romani a vincere la seconda guerra macedonica, iniziata per accorrere in aiuto di alcune città greche minacciate dal re macedone Filippo V.

Lo battaglia avvenne in un luogo collinare, non particolarmente adatto alla falange macedone. Il re ellenistico aveva diviso la sua falange in due tronconi, di cui uno doveva ancora arrivare in battaglia, mentre i romani erano già schierati; quest’ultimi attaccarono i macedoni che stavano ancora schierandosi, mandandoli in rotta e poi accerchiando i rimanenti. I macedoni in segno di resa alzarono le lunghe sarisse ma i romani forse interpretarono male il gesto, forse fecero finta di nulla: si consumò un massacro, con i legionari romani che con i loro corti gladi facevano una carneficina nei confronti degli inermi macedoni. Pare che il console Tito Quinzio Flaminio abbia anche chiesto cosa significasse il gesto di alzare le sarisse, ma non fu in grado di fermare il massacro. Il gladio si era dimostrato talmente devastante che i macedoni rimasero inorriditi quando videro i loro morti:

«Quando [i macedoni] videro i corpi smembrati con la spada ispanica, le braccia staccate dalle spalle, le teste mozzate dal tronco, le viscere esposte ed altre orribili ferite […] un tremito di orrore corse tra i ranghi.»

LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI, XXXI, 34

Le prime armi adottate dai romani erano simili a quelle greche e celtiche con cui erano entrati in contatto: xiphos a lama dritta e makhaira a lama curva all’inizio, poi anche spade di derivazione italo-celtica. Infine, a partire dal III secolo a.C., iniziarono a usare un’arma mutuata dai celtiberi con cui combattevano in Hispania, il gladius hispaniensis. Si suppone che la parola stessa venga dal celtico attraverso l’etrusco, proprio in quel periodo, da Kladi(b)os o Kladimos, che significa spada. Il termine diventerà l’equivalente italiano di spada, tanto da indicare l’arma in sé e l’intera categoria di gladiatori (“combattenti armati di spada”).

Subito dopo la presa di Carthago Nova nel 209 a.C. Scipione, rimasto impressionato dall’arma, avrebbe preteso dai fabbri locali che ne producessero 100.000 pezzi. Tuttavia l’arma era forse già usata in Italia da tempo e parecchio diffusa, poiché diverse fonti tra cui Livio narrano che nel 361 a.C., durante la battaglia del fiume Anio, Tito Manlio prese un gladio per affrontare il barbaro celta che sconfisse e da cui prese il nome di Torquato (la Torque era un’ornamento militare gallico, che aveva spogliato allo sconfitto). Probabilmente i romani avevano cominciato a utilizzare l’arma dopo il sacco di Brenno, perfezionandola nel tempo:

«Imbracciato uno scudo da fante e impugnata una spada spagnola, si pose di fronte al Gallo.»

«Prende uno scudo di fanteria, si mette al fianco la spada ispanica adatta al combattimento a corpo a corpo.»

CLAUDIO QUADRIGARIO, ANNALI, FR 106; LIVIO, AB URBE CONDITA LIBRI – VII, 10

La vittoria romana a Cinocefale permise ai romani di intervenire pesantemente nella politica greca, con Flaminino che si propugnava come liberatore della Grecia; libertà che affermò di aver ridato solennemente durante i giochi istmici, a Corinto, nel 196 a.C.

La terza guerra macedonica

Nel 179 a.C. Filippo morì e lasciò il regno al figlio Perseo, che odiava i romani. Il re macedone aveva sposato Laodice, figlia del re seleucide Seleuco IV e stretto alleanza con l’Epiro, le tribù illiriche e di Tracia. Il suo scopo era di ricreare un grande regno macedone. Nel 172 a.C. il re Eumene di Pergamo, suo nemico e alleato dei romani manifestò a Roma le sue preoccupazioni, ma i romani ancora non erano pronti per inviare l’esercito per cui attesero il 171. Gli etoli tuttavia si allearono con i romani, incrinando l’egemonia macedone. Perseo inflisse anche una prima sconfitta ai romani a Callinico, ma quest’ultimi rifiutarono ogni offerta di pace. La situazione si sarebbe ribaltata solo con l’arrivo del console eletto nel 168, Lucio Emilio Paolo, detto poi Macedonico (figlio del console morto a Canne), che decise di affrontare il nemico a Pidna. La sera prima della battaglia di si verificò un’eclissi di luna rossa; Tito Livio la descrive così:

“E come non ci si stupisce, essendo certi sia il sorgere sia il tramontare del Sole e della Luna, del fatto che la Luna ora splenda a disco pieno, ora con esigua falcetta, così non si deve considerare un prodigio il fatto che venga oscurata dall’ombra della Terra. E nella notte che precede le None di Settembre, quando all’ora annunciata la Luna si oscurò, la sapienza di Gallo apparve ai soldati romani quasi divina. “

(TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, 44, 37)

Livio fornisce anche la data dell’eclissi, che nel calendario gregoriano corrisponde al nostro 21 giugno. Il 22 giugno del 168 a.C. i romani affrontavano i macedoni nella battaglia che segnerà la terza guerra macedonica (171-168 a.C.). La battaglia di Pidna segnò anche il definitivo tramonto della falange macedone a vantaggio della legione manipolare romana. Perseo lanciò l’attacco, con la falange macedone che cominciò a pressare i romani, i quali non poterono reggere l’urto. Arretrando in modo ordinato su una montagna però i romani poterono passare al contrattacco: Emilio Paolo si rese conto che lo schieramento nemico si fratturava in più punti e in questi lanciò i manipoli. I romani, più agili e abituati a combattere su terreni accidentati e in spazi ristretti, massacrarono coi loro gladi ispaniensi i macedoni, impossibilitati dalle lunghe sarisse.

La battaglia si trasformò in una carneficina, con i gladi che fecero letteralmente a pezzi i macedoni inermi. Andati in rotta (20.000 furono uccisi e 10.000 catturati), furono attaccati poi dalla flotta romana al largo, che calò le ancore e procedette al massacro, mentre Emilio Paolo dava ordine ai suoi elefanti di caricare i macedoni in fuga. Il regno di Macedonia era distrutto; fu diviso in 4 repubbliche e, dopo un’insurrezione vent’anni dopo, la Macedonia venne annessa come provincia alla metà del II secolo a.C. La quantità d’oro conquistata sarà tale che da allora, fino al III secolo d.C., i romani (e poi gli italici) saranno esentati da ogni imposta diretta, che graverà sui soli provinciali. Ma la cultura greca avrebbe soggiogato i romani, tanto da far dire ad Orazio che la Grecia aveva portato l’arte e la cultura nel Lazio agreste: “Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio” (Orazio, Epistole, Il, 1, 156).

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