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venerdì 23 ottobre 2020

La leggenda di Amedeo Guillet, il “comandante diavolo ”Grazie a “Amanti della storia”

La leggenda di Amedeo Guillet, il “comandante diavolo”

E’ stato un uomo dai mille volti: ufficiale, agente segreto, ambasciatore, stalliere, acquaiolo, scaricatore di porto ma, soprattutto, guerrigliero. Un personaggio camaleontico, imprevedibile e temerario che cambia identità, patria e lingua. Nacque a Piacenza nel febbraio 1909 da una nobile famiglia piemontese e capuana di origine sabauda, frequentando poi l’Accademia militare di Modena. Uscirà con il grado di sottotenente di Cavalleria del Regio Esercito Italiano.

La sua straordinaria storia comincia in Africa orientale prima della seconda guerra mondiale quando, giovane tenente, cattura una pericolosissima banda di guerriglieri fedeli al Negus. Da Roma riceve l’ordine di giustiziarli, ma quando vede i volti fieri di quei nemici non solo decide di non ucciderli ma propone loro di arruolarsi nei suoi reparti. Il duca d’Aosta copre questa sua decisione e propone inoltre di creare un’intera cavalleria indigena, agile e di impatto, al seguito di Amedeo Guillet.

Questi nel giro di due mesi organizza e costituisce la nuova formazione, il “Gruppo Bande Amhara a cavallo” formata da combattenti diversissimi per etnia e religione e che soltanto un grande conoscitore di uomini come lui può tenere uniti. Ma mentre sta completando l’addestramento il 10 giugno del ’40 l’Italia entra in guerra e in Africa la situazione si fa subito difficile: gli Inglesi penetrano velocemente in Libia.

All’inizio del ’41 l’avanzata dell’esercito inglese sta ormai travolgendo le truppe italiane. Guillet per difendere il fronte italiano è pronto a tutto: gli viene chiesto di usare i suoi reparti per rallentare l’avanzata britannica e dare tempo agli Italiani di organizzarsi. E lui compie un’azione inaspettata, geniale ma spericolata: decide di attaccare il nemico a cavallo nel bel mezzo dello schieramento, contando sul fatto che mitragliatrici e artiglieria nemica non avrebbero potuto sparare per non colpire la loro stessa fanteria.

Dopo ore di confusione 10mila soldati italiani si erano ormai salvati sulle montagne grazie ad un’azione ricordata ancora oggi come una delle pagine più valorose della storia militare italiana. Guillet viene ricordato come il comandante che ha guidato una cavalleria contro i carri armati, e ha vinto. Coraggioso, sprezzante del pericolo, fedele agli alleati e rispettoso del nemico. Nell’immaginario collettivo diventa il “Comandante Diavolo” ( Cummundar as-Sheitan) e dal quel momento inizia la sua leggenda.

Dopo la firma della resa, secondo il diritto internazionale, non si può continuare a combattere ma Guillet ha in mente una strategia precisa: sfiancare il nemico e fargli credere che gli Italiani sono ancora vivi ed in grado di impegnarli. Entra in clandestinità, è’ costretto a nascondersi, a camuffare la sua identità. Smessa l’uniforme indossa il turbante e il tipico abbigliamento indigeno, diventa Ahmed Abdallah al Redai ( foto a sinistra) aiutato in questa trasformazione anche dai suoi tratti mediterranei e dalla conoscenza perfetta della lingua araba.

Il suo cambiamento non è solo esteriore: inizia a pregare 5 volte al giorno, a vivere nella comunità musulmana in modo completamente mimetico. Non è più un Italiano, non è più un ufficiale, non è più un cattolico. È un indigeno tra gli indigeni: la sua figura ricorda per certi versi quella di Lawrence d’Arabia. Con la differenza che questi aveva dietro di sé un impero che lo sosteneva. Nascosto dietro la nuova identità inizia, con i suoi indigeni, una guerriglia senza quartiere contro gli Inglesi, sabotando ferrovie, tagliando linee telegrafiche, facendo saltare ponti e saccheggiando depositi militari. Le azioni della banda inizialmente vengono considerate opera di fuorilegge locali, di banditi del deserto.

Ma con il tempo si intuisce che dietro a tutto ciò c’è un disegno preciso, quello di Amedeo Guillet e subito sulle sue gesta cala il velo della censura. Diventa oggetto di un rapporto top secret dell’ intelligence inglese che inoltre fissa sulla sua testa una cospicua taglia. Ma non serve. E talmente abile che, per meglio spiare il nemico, riesce a servire a tavola degli ufficiali inglesi sotto le finte spoglie di un domestico indigeno.

Nella primavera del ’41, dopo la disfatta italiana il Negus Haile Selassie torna in Etiopia e con l’aiuto degli Inglesi cerca di annettere anche l’Eritrea. Dall’altra parte però Guillet riesce ad attrarre alla sua causa proprio gli Eritrei facendo leva sui loro sentimenti anti-etiopici e mettendoli in guardia sul pericolo che gli inglesi possono rappresentare per loro.

Alla fine del ’41 arriva nel porto di Hodeida nello Yemen ma per i suoi modi raffinati e la lingua gli Yemeniti lo scambiano per una spia britannica e lo incarcerano. Appena a conoscenza del fatto gli Inglesi chiedono la sua estradizione cosa che però insospettisce molto gli Yemeniti. Il sovrano quindi gli concede udienza e ascolta tutta la sua storia. Ne rimane talmente affascinato che gli propone di rimanere, prendendolo sotto la sua protezione.

Lo fa curare, gli dà una casa e uno stipendio da colonnello. Quando nel ’42 gli Inglesi mettono a disposizione una nave della Croce Rossa per tutti quegli Italiani desiderosi di tornare in patria, Guillet, aiutato dai suoi vecchi amici del porto, riesce a imbarcarsi furtivamente rimanendo quasi nascosto per tutto il viaggio fingendosi pazzo.
Promosso Maggiore per meriti di guerra le sue conoscenze linguistiche lo rendono perfetto per il lavoro di intelligence.

Nel Dopoguerra, Guillet inizia a la carriera diplomatica, che prosegue per quasi trent’anni e che lo vede diventare ambasciatore d’Italia in vari Paesi. A seguirli sono sua moglie e la sua fortuna: sopravvive a due incidenti aerei nello stesso giorno e a due colpi di Stato di cui è testimone in Yemen e in Marocco. In quest’ultimo paese, durante un ricevimento ufficiale, ci fu un tentativo di colpo di Stato e Guillet riuscì a salvare la vita all’ambasciatore tedesco. Questo gli valse la più alta onorificenza della Repubblica Federale Tedesca: la Gran Croce con stella e striscia dell’Ordine al Merito della Repubblica. Nel 1971 fu inviato come Ambasciatore d’Italia in India, entrando ben presto nel ristrettissimo entourage dei confidenti del Primo Ministro Indira Gandhi.

Nel 1975 è in pensione per raggiunti limiti di età e va a vivere in Irlanda. Se in Italia in pochi conoscono la sua storia, in Irlanda viene accolto con grande entusiasmo e ritrova anche i suoi vecchi nemici anglosassoni che non avevano mai nascosto la propria ammirazione per lui, Max Harari, maggiore dell’VIII Ussari che riuscì a rapirgli il cavallo bianco Sandor, e Vittorio Dan Segre. Quest’ultimo diventa il suo biografo.

Alle già innumerevoli medaglie ed onorificenze ricevute, nel novembre del 2000 il Capo dello Stato italiano Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito la massima onorificenza di ‘Cavaliere di Gran Croce’. Amedeo Guillet muore a Roma il 16 giugno 2010, all’età di 101 anni. Le sue ceneri riposano a Capua.

 


mercoledì 21 ottobre 2020

Osiris-Rex, i cinque secondi che fecero la storia

IL TOUCH-AND-GO ALLE 00:12 ORA ITALIANA

Osiris-Rex, i cinque secondi che fecero la storia

La manovra “touch and go” di Osiris-Rex sull’asteroide Bennu – mirata alla raccolta di almeno 60 grammi di polvere superficiale per il successivo rientro a Terra – si è conclusa con successo. Obiettivo centrato per questa missione epocale, la prima dopo le missioni Apollo a portare sulla Terra un quantitativo così cospicuo di polvere extraterrestre e – diversamente dalle missioni Hayabusa, ad esempio – a saperne misurare la massa raccolta in situ

       21/10/2020

Serie di immagini – catturate nell’arco di 10 minuti durante la prima prova dell’evento di raccolta campioni della missione Osiris-Rex – che mostra il campo visivo dello strumento SamCam mentre la navicella si avvicina e si allontana dalla superficie dell’asteroide Bennu. Il braccio di campionamento della navicella spaziale (Tagsam) è visibile al centro dell’immagine. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona

21 ottobre 2020, ore 00:12.

Era da poco passata la mezzanotte in Italia – le sei di sera alla Nasa, un orario indefinito fuori dall’atmosfera, nel silenzioso e oscuro spazio interplanetario a più di 331 milioni di km dalla Terra – quando la sonda Osiris-Rex ha realizzato l’impresa mai compiuta prima dalla Nasa: raccogliere frammenti d’asteroide da riportare sulla Terra. La manovra touch and go – nome in codice Tag, letteralmente “tocca e vai”, procedura di raccolta del campione della durata di soli 5 secondi, per questo non si può parlare di un vero e proprio atterraggio – è avvenuta con successo, dopo un avvicinamento durato giorni e un rischioso atterraggio nel cratere Nightingale – “usignolo”, il più sicuro e scientificamente interessante fra i piccoli e sassosi crateri di Bennu.

Bennu, è questo il nome dell’asteroide Neo carbonaceo primordiale di tipo B obiettivo della missione della Nasa. Prima d’ora – prima di Osiris-Rex – un oggetto simile non era mai stato osservato nel dettaglio. Si ritiene che Bennu sia un “avanzo” sopravvissuto di tutti quegli asteroidi che hanno bombardato la Terra durante la sua formazione – asteroidi che, assieme alle comete, sono stati dei veri e propri mattoni primordiali che hanno portato acqua e composti organici sulla Terra durante la sua formazione.

https://twitter.com/OSIRISREx/status/1318676256032985088

Una missione epocale quella di Osiris-Rex, partita nel lontano 8 settembre 2016 e in orbita attorno all’asteroide di 500 metri di diametro dal 3 dicembre 2018. Un obiettivo tanto ambizioso quanto rapido: prelevare da un minimo di 60 grammi a un massimo di quasi due chili di regolite da riportare qui sulla Terra avendo a disposizione circa 5 secondi di contatto con il suolo dell’asteroide, e dovendo gestire una serie di complesse e delicatissime operazioni in totale autonomia. «Un segnale impiega 18 minuti e 42 secondi per coprire la distanza che separa la sonda dalla Terra, un tempo troppo lungo per poter manovrare gli strumenti in tempo reale», osserva infatti John Robert Brucato, astrofisico dell’Inaf di Firenze, esperto di esobiologia e Sample and Contamination Control Scientist della missione.

Autonomia garantita da “sensi” d’eccezione. Anzitutto la vista, grazie a un “occhio” di nome SamCam: una camera in grado di scattare immagini precise del punto di raccolta – da confrontare con le mappe superficiali per riconoscere esattamente il campione raccolto – e del meccanismo di campionamento a procedura avvenuta, poiché le due altre camere a bordo della navicella sono fuori fuoco a queste distanze dalla superficie.

Questa vista del sito primario di campionamento Nightingale sull’asteroide Bennu è un mosaico di 345 immagini raccolte dalla navicella spaziale Osiris-Rex della Nasa il 3 marzo. L’immagine è sovrapposta a una rappresentazione della navicella spaziale per illustrare il punto di atterraggio. Crediti: Nasa / Goddard / University of Arizona

Durante la procedura di campionamento, della durata complessiva di quattro ore e mezza, la navicella ha effettuato tre manovre separate per raggiungere la superficie dell’asteroide. La sequenza di discesa è iniziata con l’accensione dei propulsori per consentire a Osiris-Rex di abbandonare l’orbita di sicurezza attorno a Bennu – a un’altezza di circa 770 metri dalla sua superficie. Dopo aver viaggiato quattro ore su questa traiettoria discendente, la navicella spaziale ha eseguito la manovra “Checkpoint” a un’altitudine approssimativa di 125 m sopra il sito di raccolta Nightingale, per regolare la posizione e la velocità e scendere ripidamente – ma seguendo una traiettoria sicura – verso la superficie. Circa 11 minuti dopo, quando in Italia scoccava la mezzanotte, la navicella spaziale ha effettuato la manovra di “Matchpoint” a un’altitudine approssimativa di 54 m: è questa l’ultima volta che Osiris-Rex ha potuto accendere i razzi per correggere la sua traiettoria. Da questo momento in poi la navicella ha proseguito in caduta libera verso la superficie con una velocità verticale di 10 cm/s fino ad avvenuto contatto con il sito di raccolta.

«In questo modo si evita di contaminare la superficie con i gas di scarico del propellente usato per le manovre», spiega Brucato. «Una volta lasciato Bennu, una piccola camera osserva l’interno del sistema di raccolta (Tagsam) per verificare la presenza di materiale. Inoltre, il braccio che regge il Tagsam viene prima esteso per la sua intera lunghezza e poi piegato. Nel giro di un paio di giorni i sensori di bordo misureranno l’inerzia di Tagsam valutando così la massa del campione raccolto. Se la quantità di campione raccolto fosse inferiore a 60 grammi la Nasa deciderà – insieme al team scientifico – se fare un secondo tentativo di raccolta».

https://twitter.com/OSIRISREx/status/1318676604193832966

Questo secondo Tag avverrebbe non prima di gennaio 2021 su un secondo sito di atterraggio di nome Osprey. È importante che si verifichi in un sito diverso dal primo, perché essendo l’asteroide costituito da materiale incoerente, durante il primo tentativo di raccolta la morfologia è stata modificata profondamente perdendo i riferimenti superficiali a lungo studiati e utilizzati per poter atterrare in sicurezza. La scelta dei siti di atterraggio, poi, è stata essa stessa una sfida inaspettata. Il campo da calcio sabbioso che si pensava di trovare su Bennu si è rivelato, all’occhio più vicino e attento delle camere di Osiris-Rex, un insidioso ed eterogeneo alternarsi di piccoli crateri e massi di dimensioni variabili – luogo del tutto inospitale per una raccolta campioni come quella progettata.

https://twitter.com/OSIRISREx/status/1316822056428859405

«Le insidie nell’utilizzo di uno strumento come Tagsam per la raccolta di materiale dall’asteroide sono diverse e riguardano la conformazione dell’asteroide da un lato, la metodologia impiegata dall’altro», dice Maurizio Pajola, ricercatore dell’Inaf di Padova attivamente coinvolto nella procedura di selezione del sito di atterraggio di Osiris-Rex e nel lavoro di conteggio e catalogazione dei massi per taglia. La testa cilindrica di Tagsam – con il suo diametro esterno totale di 40 cm, interno di 25 cm – è pensata infatti per aderire completamente al suolo. «La riuscita del campionamento – anche in termini quantitativi – dipende dall’efficienza con la quale l’azoto sotto pressione sparato verso il suolo agita, solleva e cattura il materiale superficiale. Se la testa cilindrica di questa aspirapolvere al contrario si posa su una superficie piana e polverosa, l’efficienza del sistema è massima e l’azoto della bombola viene interamente impiegato nel creare turbolenza e indirizzare il materiale verso il collettore. Diversamente, parte del gas viene disperso sollevando polvere circostante».

Mappa del sito Nightingale che indica il numero e la posizione dei massi presenti nella regione. I massi di 10-21 cm sono contrassegnati in giallo, quelli più grandi di 21 cm in rosso. Le rocce e i detriti ingeriti dalla testa del Meccanismo di campionamento Tagsam non devono essere larghi più di 2 cm.
Crediti: NASA/Goddard/University of Arizona

Una seconda criticità, spiega inoltre Pajola, è costituita dalla dimensione dei massi raccolti: Tagsam è progettato per accogliere materiale di diametro inferiore a due centimetri. «È quindi fondamentale atterrare in un sito in cui, statisticamente, la composizione superficiale è polverosa e priva di sassi con dimensioni superiori a questo valore limite. Purtroppo però, il campionamento in taglia dei massi ha rivelato che la superficie è costellata di materiale di dimensioni superiori – che intaserebbero e bloccherebbero l’ingresso al sito di raccolta.»

Gli scienziati, comunque – previdenti nonostante gli imprevisti – hanno pensato a un sistema per raccogliere un po’ di materiale anche con il solo contatto superficiale: dei dischetti di velcro metallico che si sporcano della polvere superficiale di Bennu intrappolandola.

«Il sito in cui è avvenuto il prelievo, il cratere Nightingale, si trova vicino al polo nord, all’interno di un cratere di circa 20m di diametro e sembra composto da diversi materiali tra i quali minerali ricchi di carbonio», conclude Elisabetta Dotto, ricercatrice dell’inaf di Roma, membro anch’ella del team scientifico di Osiris-Rex. L’eterogeneità superficiale di Bennu, sottolinea infatti la scienziata, non è solo una complicazione ingegneristica, ma costituisce una ricchezza e un potenziale scientifico unico – frutto della storia passata dell’asteroide e della sua composizione primordiale. «Vista la sua latitudine, la temperatura è piuttosto bassa e l’escursione termica è ridotta. Per questa ragione – e per il fatto che il cratere nel quale si trova è molto probabilmente piuttosto recente – si ritiene che il materiale organico – di interesse astrobiologico – in esso presente sia poco alterato. Il prelievo e il ritorno a Terra di un campione di Bennu è senza dubbio un fatto epocale, che aprirà un nuovo capitolo nella nostra conoscenza del materiale primitivo del Sistema solare e nella comprensione del ruolo che esso può aver svolto nell’innesco della vita sulla Terra».

Guarda l’intervista di Valentina Guglielmo a Giovanni Poggiali dell’Inaf Firenze, membro del team Osiris-Rex:

martedì 20 ottobre 2020

A mezzanotte circa, toccata e fuga sull’asteroide

A mezzanotte circa, toccata e fuga sull’asteroide

Il touch-and-go è in programma nella notte fra il 20 e il 21 ottobre. La sonda spaziale Osiris-Rex della Nasa scenderà sulla superficie dell’asteroide Bennu per raccogliere un campione di materiale da riportare poi sulla Terra. Sarà possibile seguire l’evento in diretta a partire dalle 23 ora italiana

       16/10/2020

Il sito primario di campionamento Nightingale sulla superficie dell’asteroide Bennu con l’illustrazione in scala del veicolo spaziale Osiris-Rex. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona

Ci siamo. Nella notte fra martedì 20 e mercoledì 21 ottobre assisteremo al touch-and-go della missione Nasa Osiris-Rex. La sonda spaziale scenderà sulla superficie dell’asteroide Bennua raccogliere un campione di materiale per poi riportarlo a Terra – un’impresa tentata (con successo) solo dalla sonda giapponese Hayabusa 2 con il prelievo di materiale dall’asteroide 162173 Ryugu nel 2019.

L’obiettivo della missione è recuperare un campione incontaminato di regolite carbonacea dalla superficie dell’asteroide, per rispondere a diverse domande sulla composizione e sulla formazione del Sistema solare.

Già dalle prime immagini ravvicinate della superficie di Bennu erano emersi dettagli sorprendenti: non una spiaggia sabbiosa come ci si aspettava in un primo momento ma una superficie rocciosa disseminata di massi delle dimensioni di una casa. Tutt’altro che una passeggiata, quindi. 

Fin dal suo arrivo nei pressi dell’asteroide, il 3 dicembre 2018, Osiris-Rex ha fotografato e scansionato in lungo e in largo la sua superficie. Grazie a Ola, un altimetro laser, e la camera 3D PolyCam, sono state ottenute mappe della superficie con un livello di dettaglio mai raggiunto per qualsiasi altro corpo planetario visitato da una sonda spaziale. È grazie a queste mappe che è stato possibile individuare Nightingale (“usignolo”), il sito da cui verrà prelevato il campione del materiale.

Ecco cosa succederà

Poco prima delle ore 20 (ora italiana) si accenderanno i propulsori del veicolo spaziale per portare Osiris-Rex fuori dalla sua orbita attorno a Bennu e condurlo con grande precisione verso la superficie. Queste manovre daranno inizio a una sequenza di eventi meticolosamente pianificate dal team della missione.

Una volta iniziata la discesa verso il suo obiettivo, a guidare la navicella sarà la cosiddetta “mappa dei rischi”: una rappresentazione dettagliata del sito di campionamento con le aree che possono presentare un rischio per il veicolo spaziale, a causa della presenza di grandi rocce o terreno irregolare.

La mappa dei rischi del sito Nightingale sulla superficie di Bennu. Le aree verdi sono le zone ottimali per il touchdown, le aree rosse invece sono le più pericolose. Le zone più promettenti per la raccolta del materiale sono invece evidenziate in viola. Crediti: Nasa/Goddard/University of Arizona

Poco prima del contatto con la superficie, il veicolo confronterà le immagini ottenute da una delle sue camere con la mappa archiviata nella sua memoria. Se il percorso di discesa portasse il veicolo spaziale ad atterrare in un punto potenzialmente pericoloso, il sistema si attiverebbe in automatico innescando un dietrofront. In base alla simulazioni questo scenario ha una probabilità di verificarsi inferiore al 6 per cento.

Se tutto andrà come previsto, la sonda estrarra il suo meccanismo di acquisizione dei campioni Tagsam (Touch-And-Go-Sample Acquisition Mechanism), agganciato all’estremità di un braccio lungo oltre tre metri. Tagsam – che ricorda vagamente il filtro dell’aria di una vecchia auto – è progettato per raccogliere materiale a grana fine ma è anche in grado di prelevare sassolini di quasi due centimetri. È inoltre capace di raccogliere una quantità di materiale di circa 150 grammi, e in condizioni ottimali potrebbe arrivare addirittura a 1,8 kg. 

Il momento clou è previsto poco dopo la mezzanotte, alle 00:12 (ora italiana) del 21 ottobre. Il campione verrà raccolto nel corso di una manovra – chiamata, appunto, di touch-and-go – durante la quale il contatto con la superficie di Bennu durerà circa dieci secondi. Non appena la sonda rileverà l’avvenuto contatto con la superficie, si attiverà una delle tre bombole di azoto a bordo e, proprio come un grande aspirapolvere, il materiale – regolite – verrà sollevato dalla superficie  e aspirato al suo interno prima che la navicella arretri nuovamente. Lo strumento è dotato alla sua estremità anche di una sorta di “pastiglie appiccicose”: una serie di piccoli dischi progettati per raccogliere la polvere qualora non bastasse il potere aspirante dello strumento alimentato dal gas.

Dispiegamento del braccio di Tagsam, il “Touch-and-Go Sample Acquisition Mechanism” di Osiris-Rex. Crediti: Nasa

Il team monitorerà passo passo tutte le manovre di contatto con la superficie attraverso la camera dedicata proprio alle operazioni di campionamento, SamCam, una delle tre telecamere a bordo del veicolo spaziale. Grazie all’articolazione snodabile con cui SamCam è agganciata al braccio principale, i ricercatori potranno prendere in esame l’ambiente circostante da angolazioni diverse, riuscendo a osservare anche polvere o materiale su un’area del Tagsam diversa dall’estremità, per esempio sul braccio meccanico o sul rivestimento delle bombole del gas.

«Avremo un’ottima indicazione della posizione esatta del contatto con la superficie nel sito Nightingale e potremo confrontarla con la nostra mappa di campionamento, per valutare se siamo atterrati in un’area in cui è presente abbondante materiale campionabile o in una delle posizioni più rocciose», spiega il principal investigator della missione, Dan Lauretta, del Lunar and Planetary Laboratory dell’università dell’Arizona.

Dopo aver valutato eventuali danni al veicolo e agli strumenti di raccolta a seguito del touch-and-go, il team di ricercatori trascorrerà circa una settimana a valutare la quantità di campione raccolto, utilizzando diversi metodi a partire da un’ispezione visiva. Con il braccio di campionamento esteso, il veicolo spaziale effettuerà una manovra di rotazione attorno a un asse perpendicolare a Tagsam per poter misurare la variazione di massa prima e dopo la raccolta. 

La testa di Tagsam, dall’aspetto simile al filto dell’aria di un’auto. Crediti: Nasa/Goddard Space Flight Center

«L’obiettivo è raccogliere almeno sessanta grammi effettivi di materiale», dice Lauretta. «Nel caso il quantitativo fosse inferiore, valuteremo con la Nasa lo stato del veicolo e la possibilità di effettuare un secondo touch and go».

In caso di risultato non soddisfacente, la navicella spaziale potrebbe infatti effettuare più tentativi di campionamento, poiché è dotata di tre bombole di azoto gassoso. Se per esempio dovesse atterrare in un luogo sicuro ma senza riuscire a raccogliere un campione sufficiente di materiale, si potrebbe ricorrere ad alcune misure di emergenza sviluppate dai ricercatori per garantire l’obiettivo scientifico primario della missione: raccogliere, appunto, almeno sessanta grammi di materiale dalla superficie di Bennu e portarlo a Terra. In questo caso, il veicolo spaziale sarebbe riportato in orbita e verrebbero effettuate una serie di manovre per rimetterlo in posizione adatta a un nuovo touch and go

Se invece il campione raccolto dovesse andare bene, la capsula con il prezioso materiale verrà sigillata e preparata per il ritorno sulla Terra, previsto nel 2023. 

Sarà possibile seguire l’evento in diretta a partire dalle 23 ora italiana di martedì 20 ottobre. 


Marco Furio Camillo http://storieromane.altervista.org/

Marco Furio Camillo, di origine patrizia, nacque attorno al 446 a.C. Colui il quale sarebbe stato definito il secondo fondatore di Roma nel 401, nel pieno della lotta tra gli ordini patrizi e plebei (444-367 a.C.), venne eletto tribunus militum consulari potestate. In questo periodo si eleggevano alternativamente consoli o tribuni consolari, in numero di 6 quest’ultimi, non essendo chiarito ancora come i plebei dovessero accedere alle cariche più elevate. Nel 398 venne rieletto; continuava ancora l’assedio di Veio

La conquista di Veio

Nel 396 venne infine eletto dittatore dopo che i tribuni consolari Lucio Titinio Pansa Sacco e Gneo Genucio Augurino caddero in un’imboscata di falisci e capenati, che uccisero il secondo. Furio decise di nominare suo magister equitum Publio Cornelio Maluginense. Dopo aver rimesso in ordine la situazione, reclutando nuovi soldati e sconfiggendo falisci e capenati, riprese l’assedio di Veio.

«Una folla immensa si riversò nell’accampamento. Allora il dittatore, dopo aver preso gli auspici, si fece avanti e, dopo aver detto ai soldati di armarsi, disse: “O pitico Apollo, sotto la tua guida e per tua divina inspirazione mi avvio a distruggere la città di Veio e a te offro in voto la decima parte del bottino che ne si ricaverà. Nello stesso tempo supplico te, Giunone Regina che ora risiedi a Veio, di seguire le nostre armi vittoriose nella nostra città di Roma, tua dimora futura, la quale ti riceverà in un tempo degno della tua grandezza”»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 2, 21

Successivamente Camillo ordinò di costruire una galleria per arrivare fino alle mura nemiche. Nel frattempo si accendeva il dibattito su come distribuire il bottino, per evitare contrasti tra patrizi e plebei: Publio Licinio Calvo Esquilino premeva perché chi volesse il bottino se lo andasse a prendere a Veio, mentre i patrizi, capeggiati da Appio Claudio, chiedevano di portarlo nelle casse pubbliche per diminuire le tasse. Alla fine il senato decise di lasciare la decisi ai comizi:

«Perciò venne annunciato che chi avesse voluto prendere parte alla spartizione del bottino di Veio avrebbe dovuto recarsi all’accampamento del dittatore.»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 2, 20

Alla fine Camillo diede l’ordine di attaccare le mura, come diversivo: in realtà l’attacco proveniva dalla galleria scavata in segreto:

«E si chiedevano (i veienti) con meraviglia come mai, mentre per tanti giorni non c’era stato un solo Romano che si fosse mosso dai posti di guardia, adesso, come spinti da un furore improvviso, si riversassero in massa alla cieca contro le mura»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 2, 21

I veienti non si resero conto dei romani finché non furono dentro, ma ormai era troppo tardi. Avevano già preso il tempio di Giunone e la cittadella e aperto le porte della città. Fu un massacro senza quartiere, che però portò un bottino enorme e terminò un assedio decennale. La statua di Giunone fu portata a Roma e le fu dedicato un tempio sul monte Aventino. Camillo ne dedicò un altro a Mater Matuta, dopo aver celebrato il trionfo.

L’assedio di Roma

Successivamente Camillo ottenne il terzo tribunato consolare e sconfisse falisci e capenati. Nel 391 l’ex dittatore, per motivi non del tutto chiari, forse legati alla spartizione del bottino, si ritirò in esilio volontario ad Ardea. Fu proprio allora che i galli di Brenno attaccarono Chiusi e i romani decisero di portare loro aiuto:

«Dal Senato fu inviato in qualità di dittatore contro i Veienti, che dopo vent’anni si erano ribellati, Furio Camillo. Egli li vinse prima in battaglia, quindi conquistò anche la loro città. Presa Veio, vinse anche i Falisci, popolo non meno nobile. Ma contro Camillo sorse un’aspra invidia, con il pretesto di un’ingiusta divisione del bottino, e per tale motivo fu condannato ed espulso dalla città. Subito i Galli Senoni calarono su Roma e, sconfitto l’esercito romano a dieci miglia dall’Urbe, presso il fiume Allia, lo inseguirono e occuparono anche la città. Nulla poté essere difeso tranne il colle Campidoglio; e dopo averlo a lungo assediato, mentre ormai i Romani soffrivano la fame, in cambio di oro i Galli levarono l’assedio e si ritrassero. Ma Camillo, che viveva da esiliato in una città vicina, portò il suo aiuto e sconfisse duramente i Galli. Ma non solo: Camillo inseguendoli ne fece tale strage che recuperò sia l’oro ch’era stato loro consegnato, sia tutte le insegne militari da essi conquistate. Così riportando il trionfo per la terza volta entrò in Roma e venne chiamato “secondo Romolo” come fosse egli stesso fondatore della patria.» 

EUTROPIO, BREVIARIUM AB URBE CONDITA LIB. I,20

La situazione di Roma era disperata: i galli avevano preso la città dopo la sconfitta dell’Allia e i sopravvissuti si erano rinchiusi nel Campidoglio.

“All’unanimità si deliberò di richiamare Camillo da Ardea, ma non senza prima aver consultato il senato, che era in Roma: a tal punto imperava il rispetto delle leggi, e anche in quella situazione quasi disperata osservavano la distinzione dei poteri. Bisognava passare con grande rischio in mezzo alle sentinelle nemiche; per questa impresa si offerse Ponzio Cominio, giovane animoso, il quale disteso sopra un sughero si lasciò trasportare dalla corrente del Tevere verso Roma. Quindi, nel punto dove il cammino dalla riva era più breve, salì sul Campidoglio per rupi scoscese, trascurate perciò dalla vigilanza dei nemici, e condotto davanti ai magistrati espose la missione affidatagli dall’esercito. Ricevuto il decreto del senato, il quale ordinava che richiamato dall’esilio per ordine del popolo Camillo fosse proclamato sùbito dittatore nei comizi curiati, e che i soldati avessero il comandante che preferivano, il messaggero uscito per la stessa via ritornò a Veio, e di qui fu mandata ad Ardea presso Camillo un’ambasceria che lo condusse a Veio, oppure, secondo un’altra versione che io preferisco seguire, egli non si mosse da Ardea prima di aver appreso che era stata approvata la legge, poiché né poteva mutare territorio senza ordine del popolo, né poteva avere gli auspici nell’esercito senza la nomina a dittatore: fu approvata la legge nei comizi curiati e fu nominato dittatore in sua assenza.”

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 46, 7-11
Brenno

I galli tentarono un nuovo assalto, uccidendo le sentinelle, ma i romani, grazie alle oche sacre a Giunone avrebbero scoperto il piano dei galli prima che potessero prendere il Campidoglio, riuscendo a respingerli nuovamente. La fame tuttavia attanagliava ormai sia i romani che i galli; quest’ultimi decisero di intavolare delle trattative per togliere l’assedio, e i romani acconsentirono a versare un tributo di mille libbre d’oro. Ma pare che i galli portarono dei pesi falsi; i romani se ne accorsero, al che il capo gallico avrebbe anche aggiunto la sua spada alla bilancia e esclamato: “vae victis“. “Guai ai vinti”:

“Allora si riunì il senato, il quale diede incarico ai tribuni militari di patteggiare le condizioni. Le trattative si conclusero in un colloquio fra il tribuno militare Quinto Sulpicio e il capo dei Galli Brenno: a mille libbre d’oro fu fissato il prezzo del popolo che ben presto avrebbe dominato su tutte le genti. Alla cosa già in se stessa vergognosissima si aggiunse un iniquo oltraggio: i Galli portarono dei pesi falsi, e alle proteste del tribuno il Gallo insolente aggiunse sulla bilancia la spada, pronunziando una frase intollerabile per i Romani: «Guai ai vinti».”

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 48, 8-9

Ma proprio in quel momento sarebbe arrivato Marco Furio Camillo, che avrebbe bloccato lo scambio, pronunciando un’altra frase celebre: “non auro sed ferro patria recuperanda est” (“non con l’oro, ma col ferro si deve salvare la patria”):

“Ma gli dèi e gli uomini non vollero che i Romani sopravvivessero riscattati. Infatti la sorte volle che prima che fosse compiuto il vergognoso mercato, mentre ancora si discuteva, non essendo stato pesato tutto l’oro, sopraggiungesse il dittatore: sùbito ordinò che fosse tolto di mezzo l’oro e che i Galli fossero allontanati. Poiché quelli si rifiutavano dicendo che il patto era già stato concluso, egli negò che fosse valido quell’accordo stretto senza sua autorizzazione da un magistrato inferiore in grado, dopo che egli già era stato nominato dittatore, ed intimò ai Galli di prepararsi a combattere. Diede ordine ai suoi di deporre i bagagli, di preparare le armi e di riconquistare la patria col ferro, non con l’oro, avendo davanti agli occhi i templi degli dèi, le mogli, i figli, il suolo della patria deturpato dai mali della guerra, e tutte le cose che era sacro dovere difendere e riprendere e vendicare. Schierò poi l’esercito come lo permetteva la natura del luogo, sul suolo della città semidistrutta, e già di sua natura accidentato, e prese tutte quelle misure che l’arte militare poteva escogitare e preparare per avvantaggiare i suoi. I Galli sorpresi dal repentino mutamento della situazione prendono le armi, e si gettano contro i Romani più con ira che con prudenza. Già la fortuna era cambiata, già la protezione degli dèi e l’intelligenza umana appoggiavano le sorti dei Romani; quindi al primo scontro i Galli furono disfatti con la stessa facilità con cui avevano vinto presso l’Allia. Furono poi vinti, sempre sotto la guida e gli auspici di Camillo, in una seconda battaglia più regolare, a otto miglia da Roma sulla via di Gabi, dove si erano raccolti dopo la fuga. Qui la strage fu generale: furono presi gli accampamenti, e non sopravvisse neppure uno che potesse recare la notizia della disfatta. Il dittatore ritolta la patria ai nemici tornò trionfando in città, e fra i rozzi canti scherzosi, che i soldati sogliono improvvisare in tali occasioni, fu chiamato Romolo, padre della patria e secondo fondatore di Roma, con lodi non immeritate. Dopo aver salvata la patria in guerra la salvò poi sicuramente una seconda volta in pace, quando impedì che si emigrasse a Veio, mentre i tribuni avevano ripreso con maggior accanimento la loro proposta dopo l’incendio della città, ed anche la plebe era di per sé più incline a quell’idea. Questa fu la causa per cui non abdicò alla dittatura dopo il trionfo, poiché il senato lo scongiurava di non abbandonare la repubblica in un momento difficile.”

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 49, 1- 9

Cacciati i galli da Roma, restava il problema di come ricostruire la città; mentre si discuteva se spostarsi a Veio, appena finito il discorso in senato di Camillo, che voleva rimanere a Roma, un centurione di passaggio al di fuori della curia avrebbe fatto piantare le insegne urlando “hic manebimus optime” (qui rimarremo ottimamente). Il gesto fu interpretato come di buon auspicio dai senatori, che decisero di ricostruire Roma:

“Ma a togliere ogni incertezza sopraggiunse una frase pronunziata proprio a tempo: mentre poco dopo il discorso di Camillo il senato era riunito nella curia Ostilia per discutere della questione, e delle coorti inquadrate ritornando dai presidii per caso attraversavano il foro, un centurione nella piazza del Comizio esclamò: «O alfiere, pianta l’insegna, qui rimarremo felicemente». Udita quella voce il senato uscito dalla curia gridò che accoglieva quello come un augurio, e la plebe accorsa intorno approvò. Respinta quindi la proposta di legge si cominciò a ricostruire la città disordinatamente. Le tegole furono fornite a spese dello stato, e fu dato il permesso di prendere le pietre e il legname di costruzione dove ciascuno volesse, dietro garanzia di condurre a termine gli edifici entro l’anno. Nella fretta non si presero cura di tracciare vie diritte, e senza distinzione di proprietà si edificava sul terreno trovato libero. Questo è il motivo per cui le vecchie cloache, che prima passavano sotto il suolo pubblico, ora in molti punti passano sotto case private, e inoltre la topografia della città fa pensare che il suolo cittadino sia stato occupato a caso e non distribuito secondo un piano.”

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA , V, 55, 1- 5

Carriera politica successiva

«Dopo averla salvata in tempo di guerra, Camillo salvò di nuovo la propria città quando, in tempo di pace, impedì un’emigrazione in massa a Veio, nonostante i tribuni – ora che Roma era un cumulo di cenere – fossero più che mai accaniti in quest’iniziativa e la plebe la appoggiasse già di per sé in maniera ancora più netta»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, V, 4, 49

Camillo non solo aveva salvato Roma dunque, ma aveva anche fatto in modo da convincere i senatori a non emigrare a Veio e ricostruire la città, tanto da meritarsi l’appellativo di secondo Romolo. L’anno seguente fu nominato di nuovo dittatore, affrontando volsci, equi ed etruschi, che speravano di approfittare di un’Urbe stremata dall’assedio. Camillo riorganizzò l’esercito, dividendolo in tre parti: una a Roma, una a Veio e con la terza attaccò personalmente i volsci, che sconfisse a Mecio, nei pressi di Lanuvio. Firmata la resa, Camillo passò agli equi, a cui tolse Bola. Infine accorse Sutri, alleata di Roma, sconfiggendo gli etruschi. Ciò gli garantì un nuovo trionfo, dopo quello di Veio.

Nel 386 a.C. venne eletto tribuno consolare. I romani si scontrarono, guidati da Camillo, contro un esercito superiore di volsci, latini ed ernici; la vittoria fu garantita solo grazie alla decisa azione del secondo fondatore di Roma:

«Dopo aver quindi suonato la carica, scese da cavallo e prendendo per mano l’alfiere più vicino lo trascinò con sé verso il nemico gridando: «Avanti l’insegna, o soldato!». Quando gli uomini videro Camillo in persona, ormai inabile alle fatiche per l’età avanzata, procedere verso il nemico levarono l’urlo di guerra e si buttarono all’assalto tutti insieme, ciascuno gridando per proprio conto «Seguite il generale!». Si racconta anche che Camillo ordinò di lanciare un’insegna tra le linee nemiche, e che gli antesignani furono incitati a riprenderla.»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, VI, 8

I volsci si ritirarono, ma abbandonati dagli alleati, vennero sconfitti. Camillo riuscì anche a liberare Sutri dagli etruschi e riprendere Nepi. Nel 384 venne eletto nuovamente tribuno consolare, così come nel 381, quando i romani guidati da Lucio Furio e Furio Camillo vennero sconfitti dai volsci; fu solo grazie all’intervento di Camillo che i romani riuscirono a ritirarsi. Grazie ai prigionieri presi si scoprì che anche Tuscolo era pronta ad attaccare Roma, pertanto si decise di attaccarla e affidare la guerra a Camillo, che chiese come collega di nuovo Lucio Furio. La città fu presa senza spargimenti di sangue e i romani furono clementi.

Nel 368, subito prima del riconoscimento della possibilità di accedere al consolato per i plebei, il senato decise di nominare dittatore Camillo per impedire la votazione delle leges Liciniae Sextiae(approvate poi l’anno seguente)

«E dato che le tribù erano giù state chiamate a votare e il veto dei colleghi non ostacolava più i promotori delle leggi, i patrizi allarmati ricorsero ai due estremi rimedi: la più alta delle cariche e il cittadino al di sopra di ogni altro. Decisero di nominare un dittatore. La scelta cadde su Marco Furio Camillo, che scelse Lucio Emilio come maestro di cavalleria […] Tuttavia, prima ancora che la contesa avesse designato un vincitore tra le due parti in causa, Camillo rinunciò al proprio incarico, sia perché – come hanno scritto alcuni autori – la sua elezione non era stata regolare, sia perché i tribuni della plebe proposero e la plebe si disse d’accordo che, qualora Marco Furio avesse preso qualche iniziativa in qualità di dittatore, gli sarebbe stata inflitta un’ammenda di 500.000 assi»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, VI, 4, 38.

Dopo le sue dimissioni venne eletto dittatore Publio Manlio Capitolino. Nel 367 a.C. Camillo venne eletto di nuovo dittatore per affrontare un’invasione di galli, che vennero sconfitti ad Albano, mentre a Camillo fu concesso ancora il trionfo:

«E nonostante l’enorme spavento ingenerato dai Galli e dal ricordo della vecchia disfatta, i Romani conquistarono una vittoria che non fu né difficile né mai in bilico. Molte migliaia di barbari vennero uccise nel corso della battaglia e molte altre dopo la presa dell’accampamento. I sopravvissuti, dispersi, ripararono soprattutto in Puglia, riuscendo a evitare i Romani sia per la grande distanza della fuga, sia per il fatto di essersi sparpagliati in preda al panico»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, VI, 4, 42

Alla fine fu anche grazie a Camillo che vennero approvate le leges Liciniae Sextiae, che concessero nel 367 a.C. ai plebei di accedere al consolato e posero fine alla lotta degli ordini. Poco dopo, nel 365 a.C. morì di malattia:

«Ma ciò che rese degna di menzione quella pestilenza fu la morte di Marco Furio, dolorosissima per tutti non ostante lo avesse raggiunto in età molto avanzata. Egli fu infatti uomo assolutamente impareggiabile in qualunque circostanza della vita. Eccezionale tanto in pace quanto in guerra prima di essere bandito da Roma, si distinse ancor più nei giorni dell’esilio: lo testimoniano sia il rimpianto di un’intera città che, una volta caduta in mani nemiche, ne implorò l’intervento mentre era assente, sia il trionfo con il quale, riammesso in patria, ristabilì nel contempo le proprie sorti e il destino della patria stessa. Mantenutosi poi per venticinque anni – quanti ancora ne visse da quel giorno – all’altezza di una simile fama, fu ritenuto degno di essere nominato secondo fondatore di Roma dopo Romolo»

TITO LIVIO, AB URBE CONDITA, VII, 1

La prima guerra macedonica (Leggende Romane)

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