‎Mizzio Marcelli‎ a Leggende romane

‎Mizzio Marcelli‎ a Leggende romane

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Cari amici di Roma, sono Maurizio Marcelli, presidente di Accademia Romanesca e inizio a pubblicare qualcosa. La nostra Accademia si interessa, oltreché di dialetto, soprattutto della storia di Roma negli ultimi 2800 anni circa.

Quello che inserisco è uno stralcio di un mio trattato su Nerone. Buona lettura.

L’incendio di Roma.

Chi è stato?

Sicuramente l’innesco è stato fortuito. Tutto è partito dalla “curva sud” del Circo Massimo: Roma ha bruciato dalla notte del 19 luglio del 64 d.c.

…

… Il 25 luglio l’incendio era spento, ma la stessa notte riprese violento a partire dagli Orti di Tigellino.

E qui, la faccenda si ingarbuglia.

Furono trovate persone con le torce in mano, che stavano riaccendendo il fuoco!

Per conto di chi? Perché?

Chi aveva interesse affinché Roma bruciasse del tutto?

Possiamo sicuramente escludere l’innesco, che è stato dimostrato essere fortuito, ma le persone pescate a riaccendere il fuoco dopo che si era spento, chi erano? Invasati, suicidi, aspiranti martiri?

L’odio per Roma, che Giovanni Evangelista definiva “Babilonia” era manifesto da tempo: S. Pietro nelle sue Epistole dice: “Non meravigliatevi della fiamma che vi si para dinanzi… piuttosto, rallegratevi” riprendendo ciò che Luca mette in bocca addirittura a Gesù: “Io sono venuto a mettere a fuoco la terra, e perché non dovrei volere che bruci?”

È chiaro che entrambi si riferiscano a un fuoco simbolico, ma siamo sicuri che il popolo cristiano appartenente (salvo qualche eccezione sui circa 3000 adepti) alle categorie sociali più umili, derelitte, ignoranti, a Roma abbia interpretato bene il simbolismo?

Tutt’altro che simboliche erano le parole di Giovanni. La classica datazione dell’Apocalisse, nell’età Domizianea, alla luce di studi neanche tanto recenti, deve essere anticipata di circa 30 anni e si va a situare tra il 58 e il 64: molto probabile quindi che circolasse al momento dell’incendio. In questa opera invasata, Giovanni predice per Babilonia (Roma, nuova Sodoma e Gomorra, bestia dalle sette teste) “carestia, morte, lutto e fuoco”. Chi può stabilire se qualche fanatico non abbia preso alla lettera certe esortazioni all’azione diretta?

Lo stesso Tacito, nei suoi Annali antineroniani, non riuscendo a dimostrare il Nerone incendiario, parla di “correpti qui fatebantur”: arrestati coloro che confessarono, e non “qui correpti, fatebantur”: che una volta arrestati, confessarono. La confessione, arrivò prima dell’arresto!

L’inchiesta che seguì, vide gli arrestati accusati di incendio e per questo furono condannati in base alle leggi vigenti (Cornelia “de sicariis” e Julia “de vi publica”). Molti dei circa trecento furono scagionati e tutti gli altri confessarono. Confessarono di essere cristiani? A Nerone non interessava: era tollerante in quanto a ogni religione, e aveva in simpatia gli ebrei (a quell’epoca, per i romani, tutti gli ebrei erano… ebrei: non facevano differenza sulle due religioni che professavano): evidentemente le confessioni riguardarono ben altro! Confessarono di essere incendiari?

S. Paolo, che predicava liberamente a Roma in quel momento, dovette esortare nella Lettera ai Romani, i suoi correligionari a non provocare inutilmente le autorità (“chi si oppone all’autorità, si oppone alla legge di Dio”): i fanatici sono sempre pericolosi, da sempre.

Persino Svetonio, che odiava Nerone quanto odiava questa “setta di malviventi”, nel suo tentativo di identificare negli autori del secondo incendio (perché del primo, nessuno parla di incendiari) i pretoriani incaricati dal Prefetto del Pretorio Fenio Rufo di dare alle fiamme i possedimenti di Tigellino, suo rivale-collega, per rovinarlo, li confonde con i vigiles che appiccavano controfuochi alle rovine delle insulae fatte abbattere da Nerone per fare “terra bruciata” davanti all’incalzare dell’incendio.

Chi più di tutti entra in confusione è Tertulliano (scrittore apologetico cristiano del II/III sec. quello che diceva che “la donna è un tempio costruito su una cloaca”), che inventò di sana pianta una legge persecutoria di Nerone chiamata “Institutum Neronianum”, dove la religione cristiana veniva definita illecita, poi riporta queste parole: “Una sola notte e qualche torcia potrebbe assicurarci la vendetta” (Apologetico, 37). Povero Tertulliano… che sorvola sull’incendio e non collega la “persecuzione” al fatto, così come fa Lattanzio: forse non erano sicuri che non fossero stati i loro correligionari.

Il fatto strano è che non c’è un martire tra i condannati. Neanche San Pietro, che fu giustiziato insieme a San Paolo il 29 giugno del 67 (Codice di Gelasio). Tre anni dopo l’incendio! E in quell’occasione furono giustiziati solo i capi del “movimento” che voleva Roma distrutta e l’imperatore abbattuto. Non si hanno notizie di Santi martirizzati da Nerone per motivi religiosi, oltre ai due attuali patroni di Roma.

Tornando all’incendio, nessuno può dire con sicurezza che si trattò di un’esasperazione religiosa in nome o per conto di una Apocalisse da realizzare subito, ma nessuno può assicurare in merito all’assoluta estraneità dei cristiani.

Il dubbio rimane.

Dopo il processo, che durò tre mesi (un tempo lunghissimo per la Giustizia romana), tra confessioni spontanee ed estorte con la tortura in quanto molti arrestati erano schiavi, si passò alle condanne: gli storici cristiani (Gelasio, Tertulliano) parlano di circa 400 persone, altri testi contemporanei (Cassio Dione) di meno di 200, furono uccise in modi diversi. Gli schiavi e gli stranieri crocifissi, i liberi bruciati con la “tunica molesta”, altri “ad bestias”.

Nerone, che era contrario alle pene capitali, stavolta ci mise tutto il rigore di cui era capace: seguì alla lettera le prescrizioni della legge. Non “perseguitò” i cristiani, ma “punì” gli incendiari.

Che in mezzo a questi ci fossero stati anche i cristiani nessuno lo può certificare, ma certamente nessuno lo può escludere.